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29 Mar 2022

Inquinamento del permafrost alpino, una ricerca Euregio

Prenderà il via nelle prossime settimane lo studio sulla qualità delle acque provenienti dai “rock glaciers”, ampie coltri detritiche contenenti ghiaccio in ambiente alpino, effettuato in collaborazione dai ricercatori della Libera università di Bolzano, della Fondazione Edmund Mach (Fem) di San Michele all’Adige e dell’Accademia austriaca delle scienze. Ad oggi sono poco noti i loro effetti sui sistemi idrologici ed ecologici. La ricerca – si apprende – avrà durata triennale e prevede l’elaborazione di modelli di previsione sul contributo del giacchio presente nei detriti rocciosi all’inquinamento delle acque alpine derivante dal cambiamento climatico. I cosiddetti “rock glaciers” sulle Alpi rappresentano la forma più comune di permafrost. Questo ghiaccio nascosto, al pari di quello visibile dei ghiacciai, influisce sulla quantità e qualità delle acque di sorgenti, ruscelli e torrenti.

Il progetto in partenza, denominato “Rock-Me”, mette in comune le competenze dei ricercatori Francesco Comiti, Lorenzo Brusetti e Stefano Brighenti (Università di Bolzano), Monica Tolotti e Maria Cristina Bruno (Fem) e Andrea Fischer (Accademia austriaca delle scienze) per determinare la composizione chimica e la dinamica ecologica nelle acque derivanti dalla degradazione del permafrost alpino di alta quota, che in Alto Adige è abbondante sopra i 2.400 metri di altitudine. Nelle sorgenti alimentate dai “rock glaciers” si trovano disciolte numerose sostanze chimiche, tra cui alcuni metalli pesanti che spesso vengono rinvenuti a concentrazioni elevate di cui non si conosce ancora l’origine. “Spesso vi si rinvengono, in quantità variabili, metalli pesanti come nickel, zinco, addirittura uranio a seconda del tipo di roccia, anche di sei volte superiori ai limiti dell’acqua potabile”, spiega Comiti.

(ANSA).